Se l’inferno esiste io l’ho visto in Terra.
È Saturo con 40 gradi all’ombra (ombra che non c’è)…
Arrivarci in pullman è stato come un viaggio della speranza, l’aria consumata, la gente accalcata, decine di adolescenti in pieno rush ormonale che emettono odori e suoni entrambi troppo intensi.
Qualcuno ha accusato un malore, forse un calo di pressione. Dopo cinque minuti la voglia di fuggire mi assale ma sono incastrata come un mattone in un muro a secco. Cerco di mantenere la calma nonostante la temperatura continui a salire. Penso che di lì a poco sublimerò e, forse per il desiderio che quello strazio finisca al più presto, il viaggio mi sembra eterno. Non si arriva mai. Il pullman procede lento e sovraccarico di noi passeggeri, uno più sudato dell’altro, fermandosi tante volte quante sono le fermate e poi ripartendo più lento di prima. Un’infinità di piccoli minimarket si susseguono a campagne brulle, poi cassonetti, palazzi bassi, strade arroventate dal sole.
A me è sembrata un’ora, alla persona che mi accompagnava è sembrata mezz’ora. Non lo so, se facciamo una media possiamo dire che si è trattato di tre quarti d’ora, ad ogni modo ogni minuto pesava come un macigno.
Finalmente arriviamo, scendono tutti in massa, li seguo perché non so dove andare, erano secoli che non prendevo più il pullman per andare lì. Scopro che la strada è cambiata, adesso per scendere non bisogna più fare le scale, ma attraversare una specie di trincea tra sterpaglie e immondizia. Una viuzza larga (o meglio stretta) tra i 70 e gli 80 cm. Dopo questo percorso, con le gambe irritate dalle erbacce, con le carni madide di sudore, arriviamo in spiaggia.
La sabbia emana un calore infernale, ad ogni passo bruciano le piote. Sistemiamo l’asciugamano e ci avviamo verso l’acqua a cercare refrigerio. Anche per godere del sacrosanto diritto di bagnarci, dobbiamo attraversare una selva di ombrelloni ed asciugamani, tutti sistemati ad incastro. Come i vietcong ci facciamo strada nell’intricato labirinto di bambini che mangiano le patatine, signore attempate che giocano a carte, donne cosparse di olio che prendono il sole con lo slip infilato tra le chiappe.
Arriviamo in acqua disperate. Cerco un posto al riparo dal fuoco dei super santos, quei palloni arancioni di gomma che si usano in spiaggia. Ne arrivavano da tutte le direzioni e, dietro di loro, gruppi di ragazzoni che si affannavano a rincorrerli. I bambini e gli anziani, come se il caldo non li toccasse, se ne stanno sul bagnasciuga. I bambini giocano. Le nonne, color terra di Siena, marroni e traslucide, piene di olio abbronzante, stanno ferme lì coi raggi del sole in perpendicolo senza fare una piega, scure di pelle come talebani. Giugno non è neppure arrivato a metà e loro sono già abbronzatissime, ma come diavolo fanno?